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Antonio Marras

Antonio Marras si è contraddistinto nel panorama della moda internazionale per le sue creazioni non convenzionali ed uno stile tutto personale legato alla cultura sarda, fatta di materiali semplici e tradizionali, in seguito arricchiti da complesse lavorazioni. La sua fama è ormai legata anche alla nomina di direttore artistico del marchio dalla maison francese Kenzō. Nato in un’isola che ha sempre coltivato le proprie particolarità come la Sardegna, morfologicamente e geologicamente diversa, Antonio Marras ha fatto del “confine” la sua spinta verso la libertà di pensiero e di gusto. Perché sperimenta dentro di sé, pur avendo deciso di restare in Sardegna, la condizione dell’esule e insieme quell’emozione che sempre lo prende come se provasse “dolore per avere lasciato qualcosa e qualcuno che non so bene come e dove sia”. Anche il tempo, il genere, l’uso sono confini da oltrepassare ogni volta, deviando dagli oggetti quotidiani per dare loro una seconda vita, un’altra possibilità “che onora la memoria di chi ha vissuto prima di noi” dice Antonio Marras, “attraverso i suoi oggetti personali”. E’ un processo creativo dove nulla si distrugge ma tutto si crea assumendo forme nuove e nuova bellezza. Superando ogni distinzione tra artigianale, industriale, maschile, femminile, i primi abiti ridisegnati appartenevano al guardaroba di uno zio emigrato in America. Infatti l’ispirazione per le sue creazioni è sempre partita da qualcosa di imperfetto. Un’imperfezione che significa mancanza e la mancanza suggerisce un’attesa, accorata. “Se non avessimo dissonanze cognitive, se tutto si svolgesse secondo la prevedibilità delle regole, se ogni cucitura fosse perfetta, allora non ci sarebbe alcun motivo per continuare a pensare”, afferma il designer. Marras lavora sul filo della memoria sottraendo all’oblio volti, oggetti, gesti apparentemente non degni di entrare nella storia. Utilizza la memoria e la stoffa per esprimere il proprio caos interiore, intessendo i ricordi, i sapori e i profumi di luoghi abitati chissà quando e chissà con chi. Il suo lavoro è frutto di un’urgenza, quella di dare forma ai fantasmi che popolano il suo vissuto che è specifico, individuale, ma che finisce con il riassumerne uno più vasto e universale. Inventa un mondo che non ha confini, né geografici né temporali, e fa tesoro di ogni fremito, costruendo cattedrali su impalpabili frammenti di sensazioni perdute, di ricordi evanescenti. Quello di Marras è sempre un racconto fatto di storie che partono spesso dalla sua terra. Il suo racconto punta linguisticamente a quegli agganci folclorici che equivalgono a un energico recupero dell’artigianato e d’un tratto il racconto “si apre” ed è così che ci ritroviamo immersi nel rumorismo tribale dei Mamuthones o,indifferentemente, in canti indiani. Grazie proprio alla sonorità si semplifica e accelera la diffusione del racconto secondo il processo attuale di fluidificazione della realtà. Sono racconti che ci conducono con disinvoltura da un mondo a un altro, dal basso all’alto e viceversa, in compagnia delle dolci o aggressive fanciulle descritte da Marras. La sua storia è fatta di emozioni antiche come i tessuti riciclati, i ricami e l’artigianalità delle sue creazioni costantemente in bilico tra lusso e miseria, ricchezza e povertà, analfabetismo e cultura, sensualità e pudore, nostalgia e fuga dal tempo, maschile e femminile. Antonio Marras è sempre stato affascinato dagli oggetti vecchi, i mobili poveri trovati nei mercatini, i giocattoli rotti, i legni portati sulla spiaggia dalla risacca, le stoffe e gli abiti usati. Lo struggimento di riafferrare brandelli di vite dimenticate lo porta ad amare di più un vestito strappato di uno intatto, una giacca logora di una nuova, una seta appassita di una fresca. Si rivolge di continuo al passato, resuscitando tagli, fogge e disegni (dai corpetti del 1830 all’orientalismo degli anni Dieci e alle linee sinuose degli anni Quaranta). E non si limita a riciclare gli stili, fa lo stesso anche con gli abiti: sottopone gli indumenti usati e un complesso lavoro di scomposizione, rimontaggio e decorazione, che pur non cancellandone il carattere vi innesta i segni della contemporaneità. Da qui l’ossimoro di laceri pizzi preziosi, splendide stoffe bruciate, macchiate e rattoppate, lussuosi abiti stropicciati, realizzati con complesse lavorazioni e sovrapposizioni di cotone, seta, jacquard, lino, chiffon stampato e ricamato semplice o a dévoré, canvas e broccati. Il designer, trovando molto riduttivo e poco rispettoso nei confronti delle donne il ridurle ad un “tipo”, non parla di stereotipi o icone, ma piuttosto di alcune donne che lo hanno sempre attratto e ispirato come Pina Bausch, Silvana Mangano e Isabelle Huppert. Ogni collezione racconta una storia diversa, quindi non esiste né un tema ricorrente e neppure un preciso tipo di femminilità. Antonio Marras esprime il proprio estro attraverso diverse linee, quella di Alta Moda con la quale ha debuttato nel ’96 ad AltaRoma e quelle del pret-à- porter: Antonio Marras , I’M-ISOLA MARRAS , rivolta ad un pubblico giovane e il Laboratorio-Serie Limitata, una sorta di “stanza” per sperimentare e realizzare artigianalmente, in Sardegna, quello che verrà prodotto in maniera più “seriale” e portato sulle passerelle con la linea Antonio Marras.  E proprio la sfilata per Marras è il momento più importante, il coronamento di una bellissima fatica dove si snodano investimenti ed energie. Il designer stesso afferma “E’  il momento apice del mio lavoro, ogni volta sento l’urgenza di esserne travolto! Sono uno che ha bisogno di forti emozioni per sentirsi vivo, sono un romantico alla “Sturm und Drang”: non posso limitarmi a costruire una collezione, devo farla vivere. E la sfilata è il palcoscenico dove rappresento il mio mondo”.
G.F. 



Gucci


Azienda italiana specializzata agli esordi in pelletteria artigianale. Viene fondata nel 1921 da Guccio Gucci (1881-1953), figlio di un fabbricante di paglie che, giovanissimo, si trasferisce prima a Parigi e poi a Londra dove, lavorando come liftboy al Savoy Hotel, fa proprio il gusto del bello e dell'eleganza. Al suo ritorno a Firenze apre un primo negozio e un piccolo laboratorio: articoli da viaggio e selleria. Cinque anni dopo, produce, in un suo stabilimento ancora artigianale di Lungarno Guicciardini, borse, valigie e articoli sportivi. I primi successi sono legati anche a complementi per l'equitazione: molto presto, infatti, i motivi del morso e della staffa diventano l'emblema della casa fiorentina. Le vendite sono tali da spingere Gucci fuori dai confini della sua città natale. Approda a Roma con un negozio in via Condotti: è il '38. Nei difficili anni dell'autarchia, la fantasia fa fronte alla carenza di materie prime con l'introduzione di materiali come canapa, lino, juta e il celebre bambù, meno costosi dei consueti pellami e tali da alimentare l'originalità della griffe. Nel '39, il passaggio da ditta individuale a società anonima segna l'ingresso ufficiale nell'attività dei quattro figli Aldo, Vasco, Ugo e Rodolfo: sarà quest'ultimo a inaugurare nel '51 il negozio di Milano in via Montenapoleone 5. Gli anni '50 rappresentano un momento importante nella vita dell'azienda, già trasformata nel 1945 in una S.r.l. Distintivo del marchio diventa un nastro ispirato dal sottopancia della sella, di diverse grandezze, in lana o cotone, nei colori verde-rosso-verde per gli articoli in cuoio naturale e in blu-rosso-blu per pellami colorati. Nello stesso anno, l'azienda, che ha già una dimensione europea, decide di radicarsi in maniera più stabile anche oltreoceano e diventa una fra le teste di ponte del made in Italy negli Stati Uniti. Si consolidano, intanto, i prodotti destinati a diventare dei "classici": la prima borsa con il manico di bambù ('47), il mocassino con il morsetto ('52-53), il foulard Flora ('67), creato da Rodolfo Gucci e Accornero per Grace Kelly. Donne dallo stile inimitabile, come Audrey Hepburn, Jackie Kennedy, Maria Callas, la duchessa di Windsor, scelgono articoli Gucci. Sono gli anni in cui l'azienda decide di usare il logo GG, a indicare le iniziali del fondatore, come motivo ornamentale per una stoffa in tela di cotone, chiamata GG Canvas, con cui realizzare borse, piccola pelletteria, valigeria, oggettistica e i primi capi di abbigliamento. Lo sviluppo industriale dell'azienda non significa, comunque, la rinuncia agli schemi artigianali, sempre gestiti e organizzati nella sede fiorentina, con un severo controllo sulla qualità del prodotto. Nell'82 la Gucci si trasforma in società per azioni: la guida, dopo un periodo di difficili scelte strategiche da parte dei componenti della famiglia, passa al figlio di Rodolfo, Maurizio. A gestire il rilancio della griffe sono Domenico De Sole e Tom Ford. Il primo, già responsabile di Gucci America dall'84, viene nominato nel '95 presidente e chief executive officer di Gucci Group N.V. Tom Ford, stilista di origine statunitense, nel '90 diventa responsabile della linea abbigliamento donna. Nel '94, nominato direttore creativo dell'intera produzione, ridisegna l'identità della griffe e, grazie a un remix di classico e moderno, di tradizione e innovazione, il nuovo stile della casa fiorentina conquista il mondo. Il marchio si conferma così leader nel settore della pelletteria, puntando anche sulle collezioni di abbigliamento uomo-donna che raccolgono subito grande successo di critica e di pubblico. Il 2004 è l'anno dei cambiamenti di assetto. Il duo Domenico De Sole-Tom Ford decide di non rinnovare il contratto, e viene eletto nuovo direttore creativo per la linea abbigliamento donna Alessandra Facchinetti. Tuttavia già nel marzo 2005 Facchinetti abbandona il suo ruolo per disaccordi con il management, e passa a Valentino, sostituita da Frida Giannini. La sua nomina conferma una consuetudine del Gruppo Gucci, che sceglie le sue figure direttive spesso all'interno dei brand a esso appartenenti. Giannini infatti ricopriva dal 2002 la posizione di direttore creativo del settore borse, che diventa nel 2004 un ruolo inedito: direttore creativo del settore accessori. Si fa conoscere col suo lavoro e con una eccellente reinterpretazione del patrimonio del marchio, rivisitando le icone Gucci del passato come il foulard "Flora" e l'iconografia equestre. Nel 2006 infatti, Giannini viene chiamata a dirigere anche la linea uomo, diventando direttore creativo unico. I risultati non si faranno attendere, proprio perché l'abilità della designer è quella di comprendere appieno l'eredità e lo spirito del marchio, rilanciandolo nella contemporaneità, con uno spirito fresco e un occhio ai target più giovani, tanto che deciderà di trasferire il reparto creativo della maison nella sua sede d'origine, a Firenze, traslocando poi a Roma solo nel 2008. Il rilancio della tradizione di eccellenza Gucci si attua ad esempio con la realizzazione della "pelle Guccissima", un originale tipo di pelle stampata a caldo con la celebre doppia G, che rinnova la collezione di accessori, core business del brand. Inoltre, Frida Giannini si rivela molto abile nel recupero dei vecchi miti Gucci, ripescando dagli anni '50 la famosa borsa soprannominata "Jackie" in onore di una cliente d'eccellenza, Jacqueline Kennedy Onassis.

I.F.